Rispettare le regole, un concetto che non ha mai fatto parte del suo codice di comportamento. Non lo faceva per dimostrare qualcosa a qualcuno o per fare la parte del ribelle. Lui era semplicemente così, niente di più.
Sarebbe bastato solo il cognome, ingombrante è dire poco, a mettere pressione a chiunque altro avesse voluto diventare un calciatore, o comunque uno sportivo. La pressione, altro concetto che non ebbe posto nella sua quotidianità. Giocava a calcio con la stessa facilità con la quale avrebbe deciso di rovinarsi la vita. Sì perché per George decidere un Manchester – Liverpool, era come farsi fuori tutto l’alcool che il pub dell’occasione gli metteva a disposizione.
Il migliore, come recitava il suo cognome, lo diventò per davvero. Purtroppo fu una fiamma della durata troppo breve, due o tre stagioni, non di più.
Si prendeva gioco degli avversari in maniera così facile, che riguardando le immagini viene da pensare che gli altri fossero davvero scarsi. Pure uno come Cruijff andò in difficoltà contro di lui, quando quel giorno del 1976 si prese un tunnel e quella frase che non ha bisogno di commenti.
“Tu sei il migliore perché io non ho tempo”.
Poi rimase solo il ricordo, perché anche se lui c’era e giocava ancora, poco ma giocava, non sarebbe più stato il migliore. Aveva deciso di impegnare tutte le sue fatiche ai banconi dei pub e quello che gli restava sul campo da calcio. Si distrusse con le proprie mani, dando alla sua esistenza un finale terribile.
Se ne andò undici anni fa, a salutarlo ci furono qualcosa come 25mila persone.
Per quelli come me, che non hanno avuto la possibilità di poterlo guardare in televisione, rimarrà l’idea di essersi persi qualcosa di leggendario.
Perché il 7 del Manchester United sarà per sempre suo.
Continuerà ad essere ricordato per quello che fece in campo, per quello che avrebbe potuto essere e per come riuscì a buttare via tutto il suo talento.
Se ne accorse quando ormai era troppo tardi, quando poche ore prima di morire lasciò a tutto il mondo un messaggio importante:
“Don’t die like me”.
Gezim Qadraku.