Andai al bar quella sera, con la convinzione di riuscire ad annegare la sofferenza nell’alcool. Mi sedetti al bancone e iniziai ad ordinare.
“Una birra media, grazie”.
Mi sentivo perso, il mio cervello non riusciva a creare alcun pensiero logico, incominciai a bere senza accorgermi di chi mi avesse servito o di quanta gente ci fosse nel locale. Sentivo solo un inquietante silenzio nella testa. L’immagine era sempre la stessa, la tomba di mio padre che veniva ricoperta di terra, i vestiti neri dei presenti e le loro facce sconvolte.
Cercai di ripensare alla sua vita.
Era un uomo di poche parole mio padre, le aveva sempre usate con cautela, quasi le volesse conservare per i suoi libri. Era uno scrittore, anche se non era mai riuscito a raggiungere il successo. Ci avevo messo tanto a capire quanto avrei dovuto essere orgoglioso di aver avuto un padre del genere, uno che passava gran parte della sua vita a non fare niente, ma quando si sedeva e toccava i tasti della macchina da scrivere, creava dei piccoli capolavori.
Era uno di quegli scrittori che riusciva a far piangere i suoi lettori, lui ci diceva sempre che quello era il miglior complimento che avesse mai sognato di ricevere. Toccava direttamente le corde del cuore, facendoti commuovere quasi sempre.
Mi rimarrà per sempre il rammarico di non aver visto nessuno dei suoi libri tra i best seller, ma lui non scriveva per diventare famoso, non aveva mai cercato la gloria personale.
Joël Dicker ha scritto: “Non è detto che un bravo scrittore debba per forza essere famoso”, penso che questa frase riuscirà a colmare in parte la mia delusione, per il mancato successo dei suoi romanzi.
Scriveva perché lo faceva stare bene, scriveva per stare lontano dalle persone. La gente non era mai riuscita a capirlo. A partire da mia madre, la quale l’aveva amato tanto, ma non era riuscita a comprenderlo totalmente. Parlava poco e raramente condivideva i suoi pensieri con chi gli stava intorno, il suo carattere introverso rendeva difficile agli altri, il compito di conoscerlo. Era un uomo solitario mio padre, era un uomo forte.
Il film mentale sulla sua vita durò quasi due ore, mi accorsi che avevo appena finito la terza birra, quando una voce diede un senso a quella serata.
“Tu non parli con nessuno?” Mi chiese.
“Sto aspettando qualcuno con cui stare in silenzio” le risposi.
Penso sia stata la miglior risposta che io abbia mai dato ad una ragazza, non sono mai stato uno che ci prova, che fa il primo passo. Sono sempre stato timido e ogni volta ho paura di dare fastidio, per questo me ne sto sulle mie. Quella bellissima ragazza dai capelli color nocciola e gli occhi verdi, mi stava servendo da due ore e io non mi ero minimamente accorto di lei.
Iniziammo scambiandoci le solite domande banali, nei pochi secondi che lei riusciva a ritagliarsi, tra un ordine e l’altro. Mi girai e vidi che il locale era pieno, ero tornato mentalmente sulla terra. Era pieno di uomini, soprattutto di una certa età, e tutti avevano un unico obbiettivo: attirare l’attenzione della barista.
Io ero riuscito nell’impossibile, stando due ore al bancone a bere, avevo guadagnato il suo interesse. Non vedeva altro che me e questo mi fece provare una sensazione che mai avevo conosciuto in vita mia. Decisi di restare fino all’ora di chiusura, giusto per darle un passaggio a casa.
Il locale chiuse qualche minuto prima delle tre, mentre io cercavo di non addormentarmi sul marciapiede, lei finalmente uscì e mi chiese che piani avessi.
“Pensavo di darti un passaggio a casa, è tardi sarai stanca.”
“Io invece pensavo di fare qualcosa, in modo da dare un senso a questa serata.”
La serata aveva assunto un senso nel momento in cui mi aveva rivolta la parola, non potei far altro che accettare volentieri la sua proposta. C’era un fantastico cielo stellato ed entrambi decidemmo di goderci quella magnifica vista.
L’orologio segnava le 3, era una tiepida notte di primavera e io ero sdraiato sul tetto della mia macchina ad osservare le stelle, con la ragazza che avrebbe dato un senso alla mia vita.
Gezim Qadraku.