27/1: ricordare e riflettere

Il 27 gennaio 1945 i soldati sovietici liberarono il campo di concentramento di Auschwitz e si resero conto di quanto l’essere umano poteva essere malvagio.

In principio furono gli spagnoli ad utilizzare questo strumento di controllo, esattamente nel 1896, quando il generale Valeriano Weyler deportò la popolazione cubana per reprimere la rivolta. Un metodo che avrebbero adottato un po’ tutti in giro per il mondo, gli americani nelle Filippine, gli inglesi in Sud Africa, austro-ungarici e tedeschi nei confronti degli italiani durante la prima guerra mondiale, i sovietici contro tutti i “nemici di classe”. Mussolini deportò quasi centomila seminomadi durante la guerra in Libia, oltre ai tedeschi anche altri paesi alleati alle forze dell’asse organizzarono campi di internamento, come Romania, Ungheria e la Francia di Vichy. Poi ancora gli italiani nei confronti degli jugoslavi e viceversa. Dall’altra parte dell’oceano gli statunitensi internarono americani di origine italiana e giapponese, considerati pericolosi da parte del governo. Anche in Cina accadde lo stesso, sia durante la guerra civile che dopo la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Alla fine del XX secolo i campi riapparvero nei Balcani, durante le guerre jugoslave. Ad oggi vengono considerati campi di concentramento anche la prigione di Guantanamo e quella di Abu Ghraib. Anche in Corea del Nord ci sarebbero tutt’ora campi di internamento, nei quali le persone sarebbero costrette ai lavori forzati e a condizioni di vita disumane.

Una vergogna che si è dilungata in un arco di tempo che comprende tre secoli, dalla fine del XIX all’inizio del XXI. Potete quindi notare che sono stati in tanti ad utilizzare questo malvagio strumento di potere, e magari ne avrebbero fatto uso anche coloro che l’hanno subito, se si fossero trovati nella condizione opposta. Oggi, cercando di leggere più articoli e testimonianze possibili, mi sono imbattuto in dichiarazioni e opinioni  delle quali avrei fatto volentieri a meno.
Da chi corre a ricordare cosa stia subendo la popolazione palestinese da anni (osservazione più che legittima, farlo oggi non la trovo una cosa sensata) chi invece si sente in dovere di sottolineare quali furono i colpevoli, a chi addirittura parla di abolire la giornata della memoria perché ha stancato.

Bene, visto che questo 27 gennaio vi ha sfiancato e non volete più ricordare, allora vi invito a provare a riflettere osservando ciò che sta accadendo in questi ultimi tempi, cercando di trovare un collegamento con la storia.
Parlando nello specifico dei lager nazisti, i quali sono i più conosciuti, è opportuno dare un’occhiata agli eventi che seguirono quel drammatico evento,  che in molti considerano come il punto più vergognoso toccato dall’essere umano e che portò tutta la popolazione mondiale a dire: “mai più”.

Se una cosa è certa al mondo, è bene questa: che non ci succederà un’altra volta.
Primo Levi.

Finita la guerra ne iniziò immediatamente un’altra, quella fredda, che tra i suoi simboli principali ebbe il muro di Berlino. La caduta del quale fece gridare a tutto il mondo ancora una volta la medesima frase: “mai più”.
Con la crisi dei migranti, la Brexit e  la vittoria di Donald Trump, qual è stata la costante delle discussioni di questi ultimi tempi? I muri da costruire.
Eppure la generazione dei nostri genitori aveva urlato a squarciagola: “mai più”.

Sembra che l’essere umano non sia in grado di fare altro che dimenticare e non apprendere niente dalla storia. Siamo protagonisti di un periodo che verrà ricordato tra qualche anno, come quello dei muri da ricostruire, dei presidenti razzisti e degli imbarazzanti nazionalismi.
Se in passato quelli da discriminare erano stati prima i neri e poi gli ebrei, ora sono i musulmani e i migranti. Emarginarli non basta, seguendo “l’ottimo” esempio remoto, si tende sempre di più a considerarli la causa di qualsiasi male.
Atteggiamenti identici a quelli che fino ad oggi hanno causato guerre, costruzione di muri e di campi di concentramento.

Nessuno vuole ammettere la presenza del pericolo prima di averlo toccato con mano.
Anna Frank.

Sono passati dodici anni da quando le Nazioni Unite decisero di dedicare questa data alla memoria delle vittime dell’Olocausto. Ricordare e scrivere della storia sarà sempre necessario, soprattutto quando coloro che l’hanno vissuta sulla propria pelle non ci saranno più. Rammentare ci permette di capire, e la comprensione dovrebbe aiutarci a non diventare protagonisti di ulteriori simili vergogne.
Siete d’accordo con me che perseverare sarebbe diabolico. Dovremmo comportarci in maniera tale da finire nei libri di storia per essere ricordati come quelli che capirono e non sbagliarono.
Sarebbe bello, no?

Gezim Qadraku.

24 anni

Ventiquattro anni e sulla tua home ci sono sempre più foto ritraenti ecografie di gravidanze e neonati, che come genitori hanno i tuoi amici, quelli con i quali sei cresciuto. Ti chiedi come abbiano fatto a diventare così stupidi da condividere con il mondo intero un evento così personale e importante, come la nascita di un figlio.
Ventiquattro anni e alle cene di famiglia la storia è sempre quella di un anno fa, nulla è cambiato. Solite domande, soliti discorsi e lo stesso incessante bisogno dei tuoi parenti di recitare l’ormai nauseante parte della famiglia perfetta.
Ventiquattro anni e la sera è sempre il momento delle serie tv, la seconda di Better call Saul è andata e ora si aspetta la terza; non sei uno da Game of Thrones, hai bisogno di qualcosa che si avvicini il più possibile alla realtà e infatti negli ultimi mesi ti sei goduto Narcos e House of Cards, guardandole in lingua originale con i sottotitoli, cercando così di rendere fruttuoso anche una cosa che tanti considerano una perdita di tempo.
Nel 2016 hai letto troppo poco, ma in compenso hai scritto tanto. Così tanto che quando ti chiedono cosa fai nella vita ti verrebbe da dirglielo che scrivi, ma non puoi farlo ancora, perché per ora è solo un gioco. Però, magari un giorno, chissà…
Ventiquattro anni e ti innamori di una ragazza che scrive, che legge e che pubblica le stesse frasi che hanno colpito anche te, perché hai semplicemente bisogno di una persona con la quale poter stare in silenzio senza sentirti stomacato, come diceva il buon Bukowski.
Un anno fa scrivevi un pezzo simile a questo, nel quale raccontavi la situazione che stavi vivendo e nei giorni successivi ricevevi migliaia di messaggi da ragazzi e ragazze, che ti ringraziavano per aver descritto anche la loro condizione.
Ventiquattro anni e sei uno di quelli che se n’è andato dall’Italia, ma non hai bisogno di ricordarlo su Facebook ogni volta che respiri. Osservi quelli come te che provano nuove esperienze all’estero e ti chiedi perché debbano rendere tutto pubblico, quando poi un anno dopo sono già ritornati a casa.
Ti chiedono se tornerai anche tu, rispondi che non te ne sei andato per ritornare.
Ventiquattro anni e con il trasferimento hai capito che ci sai stare da solo, anche se non è facile, ma solo in questo modo impari goderti ancora di più la compagnia dei tuoi amici.
Ventiquattro e non hai bisogno che un social network ricordi ai tuoi amici quale sia il giorno del tuo compleanno, fai volentieri a meno di ricevere auguri da persone che neanche si ricordavano della tua esistenza e ti godi i pochi messaggi di auguri sinceri.
Parlando con gli amici capita sempre più spesso di ricordare il passato, i pomeriggi in oratorio, i primi sabati sera trascorsi a giocare alla PlayStation, le delusioni amorose, le prime bevute e tutte le bravate fatte insieme, finendo sempre col dire: ” bei tempi”.
Ti basta riascoltare la sigla di Dragon Ball per farti scendere una lacrimuccia.
Ventiquattro anni e l’anno appena concluso tra Brexit, Trump e Referendum, ti ha dimostrato che votare è importante e il futuro del mondo è anche nelle tue mani.
Ventiquattro anni, non hai voluto leggere l’oroscopo per sapere come andrà il 2017, ma alla fine hai dato fiducia a quello di Labadessa, che ti ha previsto un rapporto che durerà per sempre e due figli.
Ventiquattro anni e ti fermi ad osservare i tuoi genitori, sei in un’età nella quale comprendi tutti i sacrifici che hanno fatto e ti chiedi se saresti in grado di mettere su famiglia e crescere dei figli come hanno fatto loro. Ti rispondi immediatamente di no, non sei pronto, ma sai che basterà trovare qualcuno che ti faccia sentire all’altezza di poterlo fare.
Ventiquattro anni e ti risuonano in testa le parole di tuo padre:
“Senza una famiglia, non è vita!”, ma se prima era necessario l’amore per creare una famiglia, ora serve coraggio per fare un passo del genere. I nostri genitori, se si rompeva qualcosa, con pazienza, cercavano di aggiustarla. Noi no, noi rompiamo e lasciamo tutto lì.
Ventiquattro anni, ringrazi la tua ex per averti lasciato, capisci che è stata la cosa migliore che potesse capitarti. Tra poco avrai una laurea in mano, mentre lei si accontenta di cambiare pannolini e  far trovare la cena pronta al marito.
Ventiquattro anni e tra poco toccherà a te uscire là fuori, rimboccarti le maniche e cercare di trasformare il tuo sogno in un lavoro che ti permetta di diventare indipendente una volta per tutte.
Nonostante i dubbi siano tanti e le certezze poche, metto le cuffie e ascolto “la rivincita dei buoni” del mio amico Braso Mc , il quale mi ricorda che:
“qui non potrò fallire finché sarò me stesso”.
Dipenderà solamente da noi stessi, da quanto saremo disposti a combattere e a sacrificarci per rendere la nostra vita qualcosa da poter raccontare un giorno.
Ventiquattro anni e la consapevolezza di doversi godere al massimo quest’età, perché molto probabilmente è il miglior periodo della nostra vita.

Se ti sei perso il pezzo dell’anno scorso clicca quì: 23 anni.

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Gezim Qadraku.