Una vita Social

Capitava spesso di imbattermi tra i vari profili dei miei amici, in alcuni di quelle persone che davano l’idea di avere una vita favolosa. Lo capivi immediatamente dalle foto, erano perfette. Si facevano ritrarre nelle migliori posizioni possibili, accerchiati dagli sfondo più belli. Si passava dalle immagini in spiaggia, per mostrare l’ottima forma fisica a quelle davanti ai piatti deliziosi, per ostentare un po’ di ricchezza, ma non troppa. Quella vera, di ricchezza, la ostentavano pubblicando foto che li ritraevano in giro per il mondo ad ogni festività, su barche o macchine costose. Ciò che non mancava mai nei profili di queste persone, era il partner di turno (che fosse il terzo in un anno a chi importava?) Essere impegnato sentimentalmente era l’ulteriore prova di una vita da sogno. Insomma, bastava unire i puntini e ci si poteva accorgere che a loro a non mancava proprio niente.
I viaggi, il buon cibo, i soldi, gli oggetti costosi, l’amore, ecc…

Una vita social in costante aggiornamento era il nuovo metodo per dimostrare di essere qualcuno, ma non uno qualsiasi, bensì la persona da tot like e tot seguaci. E scusate se vi sembra poco.
Si viveva contando i like raggiunti da una foto o da un post, aspettando le richieste di amicizia da quelli che contavano, cercando di farsi trovare nel posto più cool del momento e farlo sapere a tutti. Erano quei tipi di giovani che frequentavano le migliori università della città, ma il percorso di studi era indifferente, perché una volta finito gli aspettava un posto nell’azienda del padre o in una dell’amico di famiglia. Non sapevano neanche come se lo fossero guadagnato quel posto di lavoro, perché se glielo chiedevi ti rispondevano:
“Boh, ci ha messo una buona parola mia madre”. 

Queste erano le persone che contavano veramente, quelle che mostravano tutto e non si tenevano niente per sé. Quelle che non ne volevano sapere di faticare, ma si lamentavano tutto il giorno. Quelle che si descrivevano come diverse, ma passavano la loro esistenza a condividere le foto del proprio cane.
Cosa ci si poteva aspettare da individui del genere?

Gezim Qadraku.

Profumo di libri

Era stata una giornata difficile e negativa, le fredde temperature in imminente arrivo e la pioggia non facevano altro che peggiorare il mio stato d’animo. L’idea di tornare subito a casa non mi rendeva euforico e quindi decisi di optare per l’unico posto nel quale ero sicuro che avrei ritrovato il sorriso.
La libreria distava solo una quindicina di minuti dall’ufficio, le gocce d’acqua scendevano incessantemente, le strade si riempirono in fretta di persone che riprendevano la via di casa.

Impiegai meno tempo del previsto a raggiungere il mio paradiso. Fu sufficiente l’immagine dell’enorme massa di libri a cambiare completamente il mio umore.
Vi ero entrato senza alcuna idea, anche perché al momento ero ancora a metà della lettura de “Lo straniero” di Albert Camus e prima di allora non avevo mai comprato un libro prima di aver terminato quello precedente.
Forse non ero li per acquistare qualcosa in particolare, ma semplicemente per ritrovare un po’ di serenità. Iniziai allora a girovagare senza una meta tra gli scaffali, fino a quando il titolo e l’autore di un romanzo attirarono la mia attenzione.
“Un uomo innamorato” si intitolava e lo scrittore era di origine jugoslava. Che posto quello, quanta storia era riuscita a creare negli anni quella penisola. Mi avevano sempre attirato i racconti provenienti da quel mondo che ci era sempre sembrato così lontano a noi italiani, ma che in realtà era ad un solo mare di distanza.
Feci quello che facevo sempre prima di comprare un libro, andai all’ultima pagina e iniziai a leggere la frase finale. Mi accorsi immediatamente che l’ultimo capitolo era un intero discorso virgolettato e leggere esclusivamente il passo finale non avrebbe avuto senso, allora lessi l’intera pagina:
<<Era un signore elegante, che si comportava da gentiluomo. Apriva la portiera della macchina alla sua donna, a tavola le versava da bere, non le permetteva di portare oggetti pesanti e ogni mattina – prima di andare al lavoro – le lasciava una frase d’amore sul tavolo della loro cucina.  La amava, ma non per questo si permetteva di limitarne la sua libertà. Le chiedeva sempre di indossare i vestiti più belli e vistosi che aveva, nonostante scollature e spacchi vertiginosi, perché voleva che lei mostrasse il suo meglio quando era al suo fianco.
Non le imponeva alcun divieto perché si fidava ciecamente di lei. Non comprendeva per quale motivo molti uomini facessero questo, chiedere alla propria donna di cambiare modo di vivere dopo averla conquistata. “Forse non si fidano”, pensava, “ma allora quelle relazioni non hanno senso”, si ripeteva.
Aveva trovato la felicità nel momento in cui i loro occhi si erano incrociati. Questo lo portava a sorridere sempre, anche quando non vi era alcun motivo,  proprio come fanno le persone innamorate.
Le aveva dedicato la parte di migliore di sè, il suo tempo. Giorni, mesi, anni completamente trascorsi al suo fianco. Solo così la sua esistenza aveva un significato.
Era un uomo innamorato e si comportava da tale, come dovrebbero fare tutti gli uomini che amano la propria donna>>.

La lettura di quelle parole provocò in me una sensazione di tale benessere che non provavo da molto tempo. Quello scrittore era riuscito a descrivere l’idea di amore che avevo sempre avuto e, soprattutto, il concetto di comportamento che un uomo dovrebbe avere nei confronti della propria donna. Non potevo non acquistare quel romanzo, consapevole che una volta arrivato a casa avrei lasciato in pausa Camus per leggere questo sconosciuto autore jugoslavo.

Il tempo trascorso in libreria aveva dato i propri frutti ancora una volta, me ne resi conto dopo aver pagato il libro ed essere uscito. Il mio umore era l’esatto opposto di pochi minuti prima, ora la giornata era magicamente diventata positiva e non aspettavo altro che arrivare a casa e iniziare la lettura di quello che si presumeva essere un ottimo autore.
Prima di incamminarmi decisi di prendere un appunto che avrei potuto utilizzare in qualche conversazione o chissà, in qualche mio futuro racconto. Tirai fuori dalla tasca della giacca blocchetto e penna:

“Dovreste vederci, a noi lettori, mentre passeggiamo tra gli scaffali di una libreria. Siamo la miglior rappresentazione della felicità. Accerchiati da libri e silenzio, mentre odoriamo il profumo della carta e scopriamo nuovi universi grazie alle parole dei nostri scrittori preferiti.
Andateci in libreria, anche solo per osservarci. Solo così potrete capire perché scegliamo di trascorrere la nostra esistenza accompagnati dai libri”.

Gezim Qadraku.