E’ una sera come tante, sono in salotto con mio padre che guardiamo l’ennesima partita di calcio. Sono ancora un bambino, guardo questo sport con occhi diversi, amo la mia squadra e odio tutte le altre. C’è un eccezione. Si chiama Ronaldo e gioca nella squadra che odio di più. L’Inter. La odio perché è la rivale della mia squadra del cuore, il Milan. Si sta giocando Lazio-Inter, sto guardando la partita solo perché spero che quella testa rasata con il numero nove entri in campo. Il mio desiderio si avvera, entra Ronaldo. Mi alzo in piedi, non riesco a stare seduto, “dategli la palla” urlo, mio padre sorride. Ho gli occhi che brillano, le gambe non riescono a stare ferme, il battito cardiaco è decisamente diverso. Ecco, finalmente gli hanno dato la palla, si gira punta l’avversario, già me lo immagino esultare, invece no. Si compie il peggiore degli incubi, Ronie cade, l’inquadratura va su di lui, Ronie sta piangendo, Ronie si è fatto male. Penso che gli abbiano fatto fallo, invece il replay mostra che è caduto da solo. Ronie piange, tanto, troppo, sembra un bambino. Entra la barella, lo portano fuori. Sono distrutto, mi siedo, impaurito e deluso. Dopo qualche secondo vado in bagno, chiudo a chiave e piango. Si ho pianto, ho pianto perché il mio idolo si era fatto male, perché fino a quel giorno non avevo mai guardato come si deve una sua partita, nonostante non l’avessi mai visto era comunque il mio calciatore preferito. È nato così il mio amore nei confronti di questo fenomeno. L’unico calciatore per il quale ho pianto, più di una volta. Un po’ di tempo dopo, in una fredda serata di inverno, uscendo dagli spogliatoi dopo gli allenamenti sento ” Ha segnato Ronaldo, ha segnato Ronaldo.” L’inter giocava a San Siro contro il Verona, torno a casa di corsa, butto la borsa in corridoio e mi fiondo sul televisore. La partita era finita e stavano mostrando i replay, eccolo lì il gol. Cross di Conceicao e gol di Ronie. Poi un altro, solo davanti al portiere saltato netto e palla in rete. I battiti del cuore aumentano, mi compare un sorriso infinito in faccia e gli occhi si illuminano. È arrivato finalmente il momento di potermi godere il mio calciatore preferito, mi rendo conto che da quell’istante potrò guardarmi come si deve le sue partite e non mi interessa che lui giochi nell’Inter. Lui è il fenomeno e bisogna guardarlo. Aveva segnato due settimane prima contro il Brescia, ma quella doppietta al Verona era la certezza per me del suo ritorno. Di quella partita mi rimarrà in mente l’immagine di Conceicao in lacrime. Piangeva, dopo l’assist. Avrei pianto anche io, anzi io avrei definitivamente smesso di giocare. Sarei andato in giro per il resto della mia vita con un cartello, sul quale avrei scritto “Io ho fatto un assist a Ronaldo.” Ho pianto ancora per lui, ho pianto quando ha deciso la finale dei mondiali con una doppietta, ho pianto quando ha segnato nel derby con la maglia del mio Milan, ho pianto in quella maledetta partita contro il Livorno nella quale si ruppe di nuovo il ginocchio, ho pianto alla notizia che aveva segnato di nuovo in Brasile dopo un anno di infortunio, ma più di tutti ho pianto nel giorno in cui ha deciso di smettere. Non sarebbe stato più lo stesso il calcio per me, nessuno mi avrebbe più dato quelle emozioni che era riuscito a darmi quel ragazzo brasiliano.
Forse mi sono dilungato un po’ troppo in questa dichiarazione d’amore, ma sono sicuro che mi capirete.

E’ stata una carriera, una vita di alti e bassi. Anzi, di cime e di fondali profondissimi.
Non si è fatto mancare niente il brasiliano, dalla vetta più alta del calcio, quella coppa di colore oro che tutti sognano di poter toccare, al ripetuto rischio di non poter più giocare. Non gli è mai piaciuto stare nel mezzo, ad un altezza in cui si sta bene. No, o tutto o niente. Sia dentro che fuori dal campo.
L’arrivo in Europa, destinazione Eindhoven, Olanda. Un inizio difficile, in una città grigia, ben lontana dalla vitalità del suo Brasile. Forse già qui, all’inizio della sua carriera gli è stato proibito di poter diventare il numero uno del mondo. I medici olandesi gli diedero degli anabolizzanti, i quali provocarono una crescita sproporzionata dei muscoli, obbligarono il ragazzo ad un corpo nuovo col quale cercare di entrare in simbiosi e quelle maledette ginocchia ne avrebbero risentito per sempre. “Non poteva non rompersi” avrebbero dichiarato molti dottori tempo dopo.
Poi Barcellona, l’esplosione vera e propria. Nessuno come lui è riuscito a prendersi l’amore dei Catalani così velocemente. Una storia d’amore breve, ma intensa. Un anno dopo altra destinazione, Milano, per vestire la maglia nero azzurra. Forse a San Siro i tifosi interisti hanno potuto vedere il Ronaldo più forte di sempre. Una macchina da guerra, l’importante era fargli arrivare la palla. Chissà come era facile giocare con uno così. Una coppa Uefa e il pallone d’oro. La discesa iniziò in Francia, il giorno della finale dei mondiali. Un misterioso malore, la verità forse non si saprà mai. L’immagine che il mondo si ricorderà sarà per sempre quella di un fantasma in campo e di un ragazzo zoppicante mentre scende le scale dell’aereo.
Poi la discesa in picchiata. Lesione del tendine rotuleo del ginocchio destro, sei mesi di stop. Rientro per la finale di coppa Italia contro la Lazio, il tempo di prendere la palla e puntare verso la porta e giù ancora nell’abisso. Rottura completa dello stesso tendine rotuleo. Ritorna dopo un anno, ma prima di toccare il cielo del mondo deve fare i conti con la sciagurata sconfitta dell’Inter contro la Lazio, che gli impedisce di diventare campione d’Italia. Ancora una volta l’olimpico si trasforma in inferno. Qualche mese dopo, con una doppietta alla Germania si laurea campione del mondo e saluta Milano.
Volo diretto a Madrid, per formare una squadra di alieni. Figo, Zidane, Beckham, Raul, Casillas, Roberto Carlos. Arriverà la coppa intercontinentale e il secondo pallone d’oro. Verrà ricordato come “El gordo”, vi lascio immaginare il motivo. Non è più lui, nonostante sprazzi di magie e di numeri, non è il Ronaldo giovane. Torna a Milano, questa volta per vestire la maglia rossonera, giusto in tempo per farsi odiare dai suoi vecchi tifosi interisti, pensa bene di segnare anche nel Derby. Poi di nuovo, dritto all’inferno. Ancora una volta il ginocchio, ancora una volta il tendine rotuleo, ma questa volta è quello sinistro. “È la fine, non si riprenderà più”, pensano in molti. Invece no, si riprende, torna in piedi e torna a correre. In Brasile, dove gioca praticamente da fermo, ma riesce a segnare gol pazzeschi. Poi la decisione, sofferta, ma inevitabile. Fine.

I suoi colleghi giocavano a calcio, lui faceva un altro sport. Qualcosa che andava oltre al semplice gioco del pallone. Utilizzo le parole di chi l’ha visto da vicino, di chi ha cercato di marcarlo, di chi ha vissuto con lui per descrivere e riuscire a farvi capire cosa era in grado di fare.
“Secondo me resta il più grande di sempre, il miglior attaccante che abbia mai visto. Meglio anche di van Basten, un giocatore veramente impossibile da marcare. Ne parlavo con un grande come Maldini, Ronaldo ci ha fatto fare una serie incredibile di “figure da cioccolatai”. Vi assicuro che noi abbiamo marcato gente come Maradona, ma lui era assurdo. Lo marcavi stretto e lui ti chiamava la profondità, coprivi lo spazio per non dare la profondità e lui ti puntava in uno contro uno, era ossessionante”.
Alessandro Costacurta.
“Se Ronaldo si gira e scappa, non ti resta che sparargli”.
Daniele Adani
“Ricordo che con Ronaldo facevamo le cinque o le sei del mattino. Io il giorno dopo però mi allenavo lo stesso, mentre lui dormiva sul lettino dopo aver mangiato cappuccino e brioche. La sera seguente poi era di nuovo sotto casa mia e si attaccava al clacson fin quando non mi vedeva uscire”.
Christian Vieri.
“È il miglior attaccante che abbia mai visto, nessuno ha mai avuto la sua velocità d’esecuzione. Ronaldo è il mio eroe, mi sono sempre piaciuti Zidane, Ronaldinho e Rivaldo ma Ronaldo è il migliore di tutti”.
Lionel Messi.
“È difficile far giocar bene una squadra. Se hai Ronaldo è inutile”.
Franco Rossi.

La sua storia è l’esempio lampante che, prima dello sportivo c’è l’essere umano. Un bambino cresciuto con un padre assente, in una situazione economica delle peggiori. Un uomo che ancora oggi ha paura di dormire al buio. Un uomo che ha confessato di essersi fatto la pipì addosso anche in età matura. Un ragazzo che non aveva voglia di allenarsi. Che ogni ragazza che gli piaceva doveva diventare sua. Un ragazzo che non sapeva dire di no al cibo. Un ragazzo debole, timido, insicuro, ma capace di trasformarsi in un incubo per gli avversari, in quel rettangolo di gioco. Un ragazzo al quale non gli è stato quasi mai permesso di vivere una vita normale.
Una carriera che si può racchiudere in una congiunzione. “Se”.
Se i medici olandesi non gli avessero dato quegli anabolizzanti.
Se non ci fossero stati tutti quegli infortuni.
Se si fosse allenato un po’ di più.
Se non avesse amato più le discoteche e la notte, del campo da gioco.
Se non avesse sofferto di bulimia.
Se avesse avuto un carattere più deciso.
Se, se, se..
Quando racconteremo ai nostri figli o ai nostri nipoti di lui, alla domanda “Chi era Ronaldo?”, sicuramente inizieremo il nostro discorso in questo modo:
“Ronaldo sarebbe potuto essere il calciatore più forte della storia del calcio, se..”
Fonti: “Paura del Buio”, Enzo Palladi.
Gezim Qadraku.