L’inizio di un amore

Abbiamo organizzato un falò in spiaggia, dopo una giornata passata in acqua a ridere, scherzare, giocare, abbiamo voluto concludere tutto in bellezza. Ci siamo divisi i compiti, io,Mattia, Ale e Tommy siamo andati a prendere la legna. Marta,Cristina, Chiara e la Fra hanno portato in spiaggia le birre e qualcosina da mangiare. Più schifezze che altro, naturalmente. Con enorme difficoltà siamo riusciti a dare fuoco alla legna, ma una volta compiuto il miracolo la serata ha preso il verso giusto. Ho aspettato questa vacanza per un anno, sapendo che avrei potuto passare del tempo con Marta in maniera molto più intima del solito.
In classe non è mica facile, siamo così tanti, ci sono un sacco di occhi e bocche pronte a osservarti e a giudicarti. Lei è sempre accerchiata dalle sue amiche e io mica posso farmi vedere dai miei amici che vado in mezzo alle ragazze per provarci con lei. Farei la figura di quello debole, che rinuncia ai suoi amici per una ragazza. Non voglio essere considerato in quel modo, ma Marta mi piace tantissimo. Appena il fuoco ha preso vita mi sono seduto di fianco a lei, anzi no, mi sono fiondato vicino a lei. È salito quel venticello che, nonostante il mese di agosto, ti costringe a indossare qualcosa di pesante, almeno per quanto riguarda la parte superiore del corpo. Io mi sono portato dietro la mia felpa blu con il cappuccio. Marta aveva un semplice maglioncino bianco, sotto una camicia a quadri, i pantaloncini cortissimi di Jeans. Bellissima, senza un filo di trucco, i capelli mossi sciolti e quello smalto verde acqua che le sta da dio.
La serata è andata avanti bene, abbiamo dato seguito a tutto quello che c’era stato durante la giornata. Risate, risate e altre risate. Il fuoco ci ha fatto da compagno, ci ha riscaldato e ogni tanto è riuscito a darci una calmata, per qualche secondo ognuno di noi si è fermato a fissarlo. L’ho fissato a lungo e ho iniziato a sognare ad occhi aperti. Il sogno ormai è lo stesso da mesi. Io e Marta che diventiamo una cosa sola, che ridiamo insieme, che andiamo in giro mano nella mano.
Il tasso alcolemico nel frattempo ha continuato a salire nel corpo di tutti noi, ma è rimasto tutto nella norma. Arrivati ad una certa ora, la Fra e la Chiara si sono addormentate, noi abbiamo iniziato a fotografarle per poterle prendere in giro l’indomani e nel frattempo mi sono accorto che Marta tremava. Non le ho chiesto niente, era abbastanza palese che avesse freddo. Mi sono tolto la felpa, gliel’ho appoggiata sulla schiena, le ho preso il braccio sinistro e gliel’ho infilato nella manica sinistra, lo stesso per il braccio destro. Non le ho dato il tempo di rifiutare il mio gesto, dopo un attimo di incredulità ha abbassato lo sguardo e sorridendo mi ha ringraziato. Mentre finivo di vestirla, con non so quale coraggio, le ho preso le dita della mano destra e gliele ho strette forte, lei le ha fatte scivolare  fuori dalla mia mano, facendomi provare un secondo di paura terribile. Un attimo dopo le nostre mani erano incastrate come si deve. Mi ci è voluto un po’ a realizzare l’accaduto, un sorriso infinito nel frattempo si era impossessato del mio viso e il mio cuore era letteralmente fuoriuscito dalla cavità toracica. Mi sono sentito sicuro per la prima volta dopo mesi, dopo tanti viaggi mentali, dopo innumerevoli sogni, dopo infinite mattine trascorse a trovare una scusa per poterle confessare tutto, dopo altrettante mattine passate a cambiare idea appena mettevo piede in classe. Allora ho deciso di lasciarmi andare completamente, di togliermi quella specie di armatura che mi aveva bloccato fino a quel momento, di fottermene della presenza dei miei amici, dei loro possibili commenti che mi avrebbero rivolto.
Lei è più importante di qualsiasi cosa. E’ lei che non mi ha fatto dormire in tutti questi mesi. Ho sciolto le mie mani, mi sono sdraiato in una posizione perpendicolare alla sua e ho appoggiato la mia testa sulle sue gambe. Lei ha cominciato ad accarezzarmi la faccia, io ho iniziato a sciogliermi pian piano. Non ci siamo detti niente. Non sentivo il bisogno di dirle niente, ero consapevole che lei stesse capendo e che stesse provando le mie stesse emozioni. Non so cosa sia questa cosa che mi è successa. Forse, quando ti trovi così tanto bene con una persona da non sentirti in dovere di dirle qualcosa, forse è vero amore.
Forse, non lo so.

Gezim Qadraku.

Si scrive Ronaldo, si legge Fenomeno

E’ una sera come tante, sono in salotto con mio padre che guardiamo l’ennesima partita di calcio. Sono ancora un bambino, guardo questo sport con occhi diversi, amo la mia squadra e odio tutte le altre. C’è un eccezione. Si chiama Ronaldo e gioca nella squadra che odio di più. L’Inter. La odio perché è la rivale della mia squadra del cuore, il Milan. Si sta giocando Lazio-Inter, sto guardando la partita solo perché spero che quella testa rasata con il numero nove entri in campo. Il mio desiderio si avvera, entra Ronaldo. Mi alzo in piedi, non riesco a stare seduto, “dategli la palla” urlo, mio padre sorride. Ho gli occhi che brillano, le gambe non riescono a stare ferme, il battito cardiaco è decisamente diverso. Ecco, finalmente gli hanno dato la palla, si gira punta l’avversario, già me lo immagino esultare, invece no. Si compie il peggiore degli incubi, Ronie cade, l’inquadratura va su di lui, Ronie sta piangendo, Ronie si è fatto male. Penso che gli abbiano fatto fallo, invece il replay mostra che è caduto da solo. Ronie piange, tanto, troppo, sembra un bambino. Entra la barella, lo portano fuori. Sono distrutto, mi siedo, impaurito e deluso. Dopo qualche secondo vado in bagno, chiudo a chiave e piango. Si ho pianto, ho pianto perché il mio idolo si era fatto male, perché fino a quel giorno non avevo mai guardato come si deve una sua partita, nonostante non l’avessi mai visto era comunque il mio calciatore preferito. È nato così il mio amore nei confronti di questo fenomeno. L’unico calciatore per il quale ho pianto, più di una volta. Un po’ di tempo dopo, in una fredda serata di inverno, uscendo dagli spogliatoi dopo gli allenamenti  sento ” Ha segnato Ronaldo, ha segnato Ronaldo.” L’inter giocava a San Siro contro il Verona, torno a casa di corsa, butto la borsa in corridoio e mi fiondo sul televisore. La partita era finita e stavano mostrando i replay, eccolo lì il gol. Cross di Conceicao e gol di Ronie. Poi un altro, solo davanti al portiere saltato netto e palla in rete. I battiti del cuore aumentano, mi compare un sorriso infinito in faccia e gli occhi si illuminano. È arrivato finalmente il momento di potermi godere il mio calciatore preferito, mi rendo conto che da quell’istante potrò guardarmi come si deve le sue partite e non mi interessa che lui giochi nell’Inter. Lui è il fenomeno e bisogna guardarlo. Aveva segnato due settimane prima contro il Brescia, ma quella doppietta al Verona era la certezza per me del suo ritorno. Di quella partita mi rimarrà in mente l’immagine di Conceicao in lacrime. Piangeva, dopo l’assist. Avrei pianto anche io, anzi io avrei definitivamente smesso di giocare. Sarei andato in giro per il resto della mia vita con un cartello, sul quale avrei scritto “Io ho fatto un assist a Ronaldo.” Ho pianto ancora per lui, ho pianto quando ha deciso la finale dei mondiali con una doppietta, ho pianto quando ha segnato nel derby con la maglia del mio Milan, ho pianto in quella maledetta partita contro il Livorno nella quale si ruppe di nuovo il ginocchio, ho pianto alla notizia che aveva segnato di nuovo in Brasile dopo un anno di infortunio, ma più di tutti ho pianto nel giorno in cui ha deciso di smettere. Non sarebbe stato più lo stesso il calcio per me, nessuno mi avrebbe più dato quelle emozioni che era riuscito a darmi quel ragazzo brasiliano.
Forse mi sono dilungato un po’ troppo in questa dichiarazione d’amore, ma sono sicuro che mi capirete.

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E’ stata una carriera, una vita di alti e bassi. Anzi, di cime e di fondali profondissimi.
Non si è fatto mancare niente il brasiliano, dalla vetta più alta del calcio, quella coppa di colore oro che tutti sognano di poter toccare, al ripetuto rischio di non poter più giocare. Non gli è mai piaciuto stare nel mezzo, ad un altezza in cui si sta bene. No, o tutto o niente. Sia dentro che fuori dal campo.
L’arrivo in Europa, destinazione Eindhoven, Olanda. Un inizio difficile, in una città grigia, ben lontana dalla vitalità del suo Brasile. Forse già qui, all’inizio della sua carriera gli è stato proibito di poter diventare il numero uno del mondo. I medici olandesi gli diedero degli anabolizzanti, i quali provocarono una crescita sproporzionata dei muscoli, obbligarono il ragazzo ad un corpo nuovo col quale cercare di entrare in simbiosi e quelle maledette ginocchia ne avrebbero risentito per sempre. “Non poteva non rompersi” avrebbero dichiarato molti dottori tempo dopo.
Poi Barcellona, l’esplosione vera e propria. Nessuno come lui è riuscito a prendersi l’amore dei Catalani così velocemente. Una storia d’amore breve, ma intensa. Un anno dopo altra destinazione, Milano, per vestire la maglia nero azzurra. Forse a San Siro i tifosi interisti hanno potuto vedere il Ronaldo più forte di sempre. Una macchina da guerra, l’importante era fargli arrivare la palla. Chissà come era facile giocare con uno così. Una coppa Uefa e il pallone d’oro. La discesa iniziò in Francia, il giorno della finale dei mondiali. Un misterioso malore, la verità forse non si saprà mai. L’immagine che il mondo si ricorderà sarà per sempre quella di un fantasma in campo e di un ragazzo zoppicante mentre scende le scale dell’aereo.
Poi la discesa in picchiata. Lesione del tendine rotuleo del ginocchio destro, sei mesi di stop. Rientro per la finale di coppa Italia contro la Lazio, il tempo di prendere la palla e puntare verso la porta e giù ancora nell’abisso. Rottura completa dello stesso tendine rotuleo. Ritorna dopo un anno, ma prima di toccare il cielo del mondo deve fare i conti con la sciagurata sconfitta dell’Inter contro la Lazio, che gli impedisce di diventare campione d’Italia. Ancora una volta l’olimpico si trasforma in inferno. Qualche mese dopo, con una doppietta alla Germania si laurea campione del mondo e saluta Milano.
Volo diretto a Madrid, per formare una squadra di alieni. Figo, Zidane, Beckham, Raul, Casillas, Roberto Carlos. Arriverà la coppa intercontinentale e il secondo pallone d’oro. Verrà ricordato come “El gordo”, vi lascio immaginare il motivo. Non è più lui, nonostante sprazzi di magie e di numeri, non è il Ronaldo giovane. Torna a Milano, questa volta per vestire la maglia rossonera, giusto in tempo per farsi odiare dai suoi vecchi tifosi interisti, pensa bene di segnare anche nel Derby. Poi di nuovo, dritto all’inferno. Ancora una volta il ginocchio, ancora una volta il tendine rotuleo, ma questa volta è quello sinistro. “È la fine, non si riprenderà più”, pensano in molti. Invece no, si riprende, torna in piedi e torna a correre. In Brasile, dove gioca praticamente da fermo, ma riesce a segnare gol pazzeschi. Poi la decisione, sofferta, ma inevitabile. Fine.

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I suoi colleghi giocavano a calcio, lui faceva un altro sport. Qualcosa che andava oltre al semplice gioco del pallone. Utilizzo le parole di chi l’ha visto da vicino, di chi ha cercato di marcarlo, di chi ha vissuto con lui per descrivere e riuscire a farvi capire cosa era in grado di fare.
“Secondo me resta il più grande di sempre, il miglior attaccante che abbia mai visto. Meglio anche di van Basten, un giocatore veramente impossibile da marcare. Ne parlavo con un grande come Maldini, Ronaldo ci ha fatto fare una serie incredibile di “figure da cioccolatai”. Vi assicuro che noi abbiamo marcato gente come Maradona, ma lui era assurdo. Lo marcavi stretto e lui ti chiamava la profondità, coprivi lo spazio per non dare la profondità e lui ti puntava in uno contro uno, era ossessionante”.
Alessandro Costacurta.

“Se Ronaldo si gira e scappa, non ti resta che sparargli”.
Daniele Adani

“Ricordo che con Ronaldo facevamo le cinque o le sei del mattino. Io il giorno dopo però mi allenavo lo stesso, mentre lui dormiva sul lettino dopo aver mangiato cappuccino e brioche. La sera seguente poi era di nuovo sotto casa mia e si attaccava al clacson fin quando non mi vedeva uscire”.
Christian Vieri.

“È il miglior attaccante che abbia mai visto, nessuno ha mai avuto la sua velocità d’esecuzione. Ronaldo è il mio eroe, mi sono sempre piaciuti Zidane, Ronaldinho e Rivaldo ma Ronaldo è il migliore di tutti”.
Lionel Messi.

“È difficile far giocar bene una squadra. Se hai Ronaldo è inutile”.
Franco Rossi.

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La sua storia è l’esempio lampante che, prima dello sportivo c’è l’essere umano. Un bambino cresciuto con un padre assente, in una situazione economica delle peggiori. Un uomo che ancora oggi ha paura di dormire al buio. Un uomo che ha confessato di essersi fatto la pipì addosso anche in età matura. Un ragazzo che non aveva voglia di allenarsi. Che ogni ragazza che gli piaceva doveva diventare sua. Un ragazzo che non sapeva dire di no al cibo. Un ragazzo debole, timido, insicuro, ma capace di trasformarsi in un incubo per gli avversari, in quel rettangolo di gioco.  Un ragazzo al quale non gli è stato quasi mai permesso di vivere una vita normale.
Una carriera che si può racchiudere in una congiunzione. “Se”.
Se i medici olandesi non gli avessero dato quegli anabolizzanti.
Se non ci fossero stati tutti quegli infortuni.
Se si fosse allenato un po’ di più.
Se non avesse amato più le discoteche e la notte, del campo da gioco.
Se non avesse sofferto di bulimia.
Se avesse avuto un carattere più deciso.
Se, se, se..
Quando racconteremo ai nostri figli o ai nostri nipoti di lui, alla domanda “Chi era Ronaldo?”, sicuramente inizieremo il nostro discorso in questo modo:
“Ronaldo sarebbe potuto essere il calciatore più forte della storia del calcio, se..”

Fonti: “Paura del Buio”, Enzo Palladi.

Gezim Qadraku.

Non è facile stare da soli

Ultimamente passavo molto tempo da Emily, eravamo amici dai tempi del liceo. C’era dell’antipatia fisica e sessuale tra noi due, per questo il nostro rapporto di amicizia era durato nel tempo. Era un momento difficile per lei, stava andando incontro alla morte. Non mi riferisco alle condizioni fisiche o a qualche brutta malattia. Stava bene fisicamente, sulla quarantina, sposata con due bambini, lavorava come primario in uno degli ospedali migliori della città.
La malattia era invisibile. Un pomeriggio, l’ennesimo passato a bere in cucina, arrivò sua figlia Adeline, la più grande. Aveva 15 anni, frequentava le superiori.
“Mamma, ho bisogno di un favore. Sto scrivendo un tema per compito, mi devi dire cosa facevi alla mia età”.
“Alla tua età mi preoccupavo di quello che la gente pensava di me, buttavo via gli anni migliori della mia vita.” Le rispose. La ragazzina non capì del tutto, ringraziò e tornò in camera sua a finire il tema. Io, nonostante le mie pessime condizioni fisiche ed economiche, ero ancora vivo. Non lavoravo, tiravo a campare come potevo. Ogni tanto mio padre mi mandava qualche assegno. Emily mi ospitava quando ero proprio a zero,  così andavo avanti. Ma avevo del tempo libero. La gente non ha mai del tempo libero. Quelle poche volte che lo ha, lo sperpera in cose inutili.
Domeniche passate davanti alla televisione a guardare le partite di calcio, pomeriggi sprecati nei centri commerciali a spendere i pochi soldi che hanno per comprare cose di cui non hanno bisogno. Io non mi potevo permettere nulla di quello che le persone facevano, ma avevo del tempo per vivere. Non avevo orari, non dovevo dar conto a nessuno, facevo quello che volevo. Ero anche un buon amico. Di solito con gli amici si fanno due cose, si parla e si ride. Mi piaceva ascoltare, non ero uno di quelli che si confidava. Davo l’idea di essere forte, le persone vedevano in me sicurezza, nonostante fossi una sorta di barbone e non sapevo mai se il giorno dopo sarei riuscito a mettere qualcosa tra i denti. Emily mi ripeteva ogni volta le stesse cose “Non puoi andare avanti così, la tua non è vita, trovati un lavoro, fai qualche soldo, cerca una persona che stia al tuo fianco.” Non avevo mai voglia di addentrarmi in quei discorsi e allora mi limitavo a darle ragione.
Quella conversazione si ripeteva sempre nei nostri incontri e finiva sempre nello stesso modo.
Ultimamente però il suo punto di vista stava cambiando. “Sono stanca, di tutto. Del lavoro, di mio marito, dei bambini, dei soldi, della casa, degli orari, degli obblighi, di tutta questa vita, voglio scappare.”  Io sorridevo, la capivo. “Scappa”, le suggerivo.
“Fosse facile, Jack che dirà? E i bambini? Ho tutto quello che ho sempre sognato, non posso andarmene così.”
Si stava accorgendo che si era incastrata nella sua ragnatela. Un giorno mi chiese scusa per tutte le volte che mi aveva detto involontariamente di diventare come lei.
“Tu l’hai sempre saputo che sarei arrivata a questo punto,  se me ne sono accorta è solo grazie a te, riesci a farmi ragionare.” Ero contento di quelle parole, finalmente stava usando il cervello. Era una donna intelligente, aveva sempre fatto le cose come si devono, o almeno, come dicono di farle. Ottimi voti, sempre la prima in qualsiasi cosa, tanta religione, molto tempo a casa, poi il matrimonio e figli, il lavoro e la casa dei sogni. La figlia che ogni madre vorrebbe.
Aveva trascorso la sua vita facendo le cose che fanno gli altri. Sin da bambini questo pensiero ci entra in testa. Quando vogliamo qualcosa, la prima giustifica che diciamo ai nostri genitori è “ma ce l’hanno tutti.” Si cerca la felicità in quello che fanno gli altri, cercando di farlo meglio di loro. Le cose però erano cambiate. Era stanca di tutto, ma soprattutto del suo matrimonio, non ne voleva più sapere di suo marito. “Lui mi ama, è una persona per bene e non mi ha mai trattata male in tutti questi anni, non mi ha mai fatto mancare niente. E’ stato un buon padre e un buon marito, ma io ho bisogno della mia libertà adesso. La verità è che mi sono accontentata. Ho cercato di coprire i suoi difetti all’inizio, ma non si fa così, perché poi col tempo i difetti vengono fuori e non sei più in grado di accettarli.”
“Tienitelo stretto” le dissi. “ Non è facile stare da soli.” Me ne andai, tutta la mia vita mi passò davanti in quel momento. Mi resi conto che per quanto ero libero, per quanto non ero impigliato in quella ragnatela in cui sono incastrati la maggior parte delle persone, io ero solo. Emily aveva una spalla su cui piangere, dei bambini per i quali svegliarsi la mattina e fare sacrifici, un motivo valido per andare avanti. Io no. Bisognava avere qualcuno al proprio fianco, sempre. Io non avevo niente e nessuno.
Non si poteva pretendere di vivere stando da soli.

Gezim Qadraku.

Un bacio

“Mi piaci” le disse, dopo averla guardata negli occhi per un numero infinito di secondi.
La voce gli tremava, ma il suono era uscito abbastanza limpido e forte.
Il suo cuore iniziò a battere così forte che lei avrebbe potuto sentirlo, se si fosse avvicinata.
Lei abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo, lo guardò e sorrise intimidita e sorpresa da quella dichiarazione.
Lui capì che molto probabilmente, il sentimento era corrisposto. Le prese la mano con cautela e attese che lei ricambiasse il gesto e si lasciasse andare. Così fu.
Lei si avvicinò, lasciando che le loro dita si incastrassero per bene.
Erano così vicini che lei poteva sentirlo veramente il battito del cuore di lui, tanto era forte.
Il naso di lui sfiorò quello di lei e dopo un breve attimo di esitazione le labbra di uno incontrarono quelle dell’altra. Un bacio elegante, timido, composto, riservato, un bacio di altri tempi. Un bacio breve, ma di un’intensità infinita.
Non si lasciarono andare, non andarono oltre, non fecero l’amore.
Rimasero in una situazione di punta di piedi, come quando un ospite entra per la prima volta in casa di un amico. Cosciente di essere il benvenuto, ma consapevole di non dover mostrare tutto quello che è. Così fecero loro due, non mostrarono quasi nulla di più all’altro. Sapevano bene che avevano tutto il tempo del mondo per farlo.
Si spostarono sul divano, continuarono a parlare per il resto della serata. Si baciarono poco, ma le loro mani rimasero incastrate per tutto il tempo. Non ne volevano sapere di staccarsi. Tirarono fino a tardi così, cercando di godersi il più possibile quella magia che si era creata. Inevitabile, arrivò il momento per lui di tornare a casa. Dovettero, a malincuore, svincolare le loro dita. Si salutarono, si baciarono di nuovo, si augurarono la buona notte.
Sorridevano entrambi, felici e consapevoli di aver sistemato il primo mattone del loro amore.

Gezim Qadraku.

Il tradimento

Te ne accorgi quando una donna ti tradisce.
Te ne puoi accorgere solo se l’hai amata per davvero. Se l’hai ascoltata, se hai conosciuto tutti i suoi particolari, se hai completato le sue frasi, se hai sempre saputo che cosa voleva.
Sì perché, nessuno riesce a fingere, nessuno riesce a recitare così bene da nascondere un cambiamento. Si cambia quando si tradisce. Gli uomini iniziano a sparire dal rapporto, le donne rischiano anche di avvicinarsi di più, di diventare più affettuose del solito.
Magari ti invia anche due messaggi della buonanotte, è sempre felice, vestita bene, truccata, su di giri. Lo capisci subito. Ed è brutto, perché significa che l’hai persa. Una volta persa, la donna non la riprendi più. Non puoi fare più niente, è tutto tempo sprecato. È brutto vedere che nonostante non ti ami più, non abbia il coraggio di dirtelo, non abbia il coraggio di andarsene, non abbia il coraggio di prendere una decisione.
Anzi, cerca di tenere due piedi in una scarpa, non vuole farsi mancare niente.
La magia è finita, i sorrisi non sono più merito tuo, se si veste bene è per qualcun’altro, tu non esisti più, ma comunque ti tiene lì. Come un mobiletto ormai inutile, che però fa dispiacere buttare via perché in un passato era servito a qualcosa.
Nel frattempo cambi anche tu. Ti sembra che qualcosa ti ostruisca le vie respiratorie, fai fatica a muoverti con naturalezza, hai la testa da un’altra parte, non riesci a vivere, sei immobilizzato in questo incubo. Sei sicuro che ha scelto un altro anche se non hai visto niente con i tuoi occhi, non hai avuto la prova del nove e la vorresti. Giusto per toglierti quella minuscola percentuale di dubbio. Vorresti vederla con quest’altro, anche se la scena potrebbe lacerarti il cuore, ma almeno così saresti sicuro al cento per cento. Ma anche senza la prova del nove, nulla ti schioda dalla tua certezza. Allora pensi a cosa non hai fatto, a cosa c’è di sbagliato in te, a cosa possa aver trovato in lui che tu non hai.
Si tradisce per svariati motivi, ma non esiste nessuna giustificazione valida. Gli esseri umani però continuano a tradire, ma se ad essere tradito è una persona che aveva dato tutto per quell’amore, non si riprenderà più. Non sarà più capace di amare. Non avrà più niente da donare. Tutto quello che aveva da dare, l’ha dedicato alla persona sbagliata.
Ci si può rialzare dopo una catastrofe e diventare più forti, oppure si può rimanere tra le macerie per sempre, e non riprendersi mai più.

Gezim Qadraku.

Un amore destinato a durare per sempre

Si innamorarono così, per caso, in una fredda mattina d’autunno. L’amore arriva sempre per caso. Non puoi mica deciderlo, il momento, il posto. Si presenta e si accomoda, senza neanche chiedere permesso.
Lei entrò in quel bar in centro, così affollato che le parve quasi impossibile farsi sentire dal barista. Coperta dal suo velo, che le lasciava scoperto solo quel suo bel viso lucente. Lui, solitario, l’unico che in mezzo a tutto quel farfugliare di persone, se ne stava seduto a leggere il giornale. Ci sono momenti, attimi, che ti cambiano la vita. In quel momento, quando lei si avvicinò al bancone, lui alzò gli occhi dall’articolo che stava leggendo e incontrò quel viso lucente. Non si fermò al velo, alla religione diversa dalla sua, che rappresentava quel dettaglio. Andò oltre, non ci fece neanche caso, fu rapito da quel viso. Gli sembrò così pulito, così limpido, da non poter essere reale.
Il bar, la musica alla radio, le chiacchiere delle persone, i rumori della città, fecero da sfondo al loro primo incontro. Una stupida scusa per scambiarsi le prime parole e scattò automatica la magia. Iniziò così, in una maniera come un’altra, in una giornata che fino a qualche momento prima era sembrata inutile, la loro difficile storia d’amore. Si amavano nonostante la loro origine diversa, nonostante le loro religioni, nonostante la mancata approvazione dei genitori, nonostante il mondo in ogni momento ricordasse a loro, che non erano teoricamente compatibili.
Era un amore forte, coraggioso, testardo. Era un amore destinato a durare per sempre.

Gezim Qadraku.