8 ore

L’orologio segna le 21:57, il secondo turno è quasi finito, ci guardiamo tra di noi e siamo tutti d’accordo che possiamo andarcene a casa. Rubiamo tre minuti alla giornata lavorativa e cerchiamo di aggiungerli al nostro venerdì sera. Ecco come siamo conciati, a sentirci felici di uscire tre minuti prima dal capannone.
Fuori l’aria è pungente, mi allaccio bene il giubbotto e mi dirigo verso la macchina. Giorgio ci augura buon weekend mentre si accende una sigaretta. Dovrebbe smettere, almeno così gli ha consigliato il medico dopo l’infarto che lo stava facendo secco qualche mese fa.
“Non mi interessa arrivare in forma alla morte, voglio arrivarci con la sigaretta in bocca e il pacchetto pieno da fumarmi insieme a Dio”. Questo è il suo motto.

Neanche il tempo di aprire la macchina che sento Mario fare retromarcia e partire a tutto gas. Trent’anni di uomo che passa ogni venerdì sera con le prostitute meno costose, per poi trascorrere la settimana successiva a inventarsi i migliori racconti di quelle che devono essere le scopate peggiori del mondo.
Tolgo le scarpe antinfortunistiche, le calze sono fradice di sudore e mi sento sempre più sporco. La polvere, quella che devo togliere otto ore al giorno per prendere 1000 euro al mese. Penso che ormai mi sia entrata nelle vene, sono diventato spazzatura. Carta, plastica, vetro, polvere, tanta, troppa polvere in tutti questi anni.

Indosso le scarpe da ginnastica che ho comprato qualche mese fa al mercato e finalmente posso appoggiare la mia schiena malandata allo schienale del sedile. Ogni volta la stessa sensazione di benessere, manco fosse un idromassaggio. L’effetto rilassante provocato dal sedile è momentaneo, ormai ho tutti i muscoli tesi, la schiena, le braccia e il collo sembrano marmo. Tutta la stanchezza dei cinque giorni lavorativi si fa sentire adesso. Accendo la macchina e parto verso casa.
Al primo semaforo mi si affianca un auto piena di giovani. Ci sono due ragazzi davanti e uno dietro seduto tra due ragazze che sembrano decisamente più giovani.
Si passano una bottiglia di plastica che all’interno contiene un liquido di colore roseo. Sarà la solita miscela di alcool. Il semaforo è ancora rosso e il giovane al volante si fa passare la bottiglia, cercando di berne il più possibile incitato dagli altri.
“Non fare cazzate” vorrei dirgli, ma il clacson di quello dietro mi avvisa che è già scattato il verde e devo sbrigarmi. Alla radio nel frattempo lo speaker annuncia quale sarà il tema di questo venerdì sera:
“Cosa sognavate di diventare quando eravate bambini?”

Entro in autostrada, inserisco la quinta e mi rilasso definitivamente. Giusto qualche secondo per godermi la strada completamente vuota e la pioggia inizia a cadere sul parabrezza. Faccio andare i tergicristalli e maledico quelle gocce d’acqua.
È da un mese che i bambini mi chiedono di portarli a fare un picnic al lago, ma ogni volta il tempo peggiora nel weekend. Ho trascorso tutta la settimana a controllare il meteo, dava soleggiato sia sabato che domenica.
Mentre supero uno dietro l’altro i tir e prego che smetta di piovere, ripenso alla mia infanzia.

Ero fin troppo ambizioso quando ero soltanto un bambino, volevo fare l’astronauta, mi affascinavano i pianeti e sognavo di passare la vita in orbita.
Peccato che per raggiungere un sogno del genere avrei dovuto studiare, ma decisi di abbandonare i banchi di scuola a soli sedici anni.
“È bravo ma non si applica”, mi resterà per sempre il rimorso di non essermi applicato, ma non ce la facevo proprio a stare seduto a studiare.

La trasmissione radiofonica prosegue e tra una canzone e l’altra il conduttore  inizia a leggere i primi messaggi. I soliti sogni: calciatore, poliziotto, attrice ecc…
Per un momento immagino di telefonare alla radio e raccontare qual era il mio desiderio:
“Da piccolo avrei voluto fare l’astronauta, sognavo di portare la bandiera del mio paese sulla luna”.
Mentre ripeto quella frase, la mente elabora quella che sarebbe la conversazione con lo speaker : “Alla fine poi, cosa hai fatto nella vita?”
Già, che cosa ho fatto nella vita?
Ho trascorso la mia esistenza facendo per otto ore al giorno un lavoro orrendo, ho mangiato, dormito e sperato che la domenica non piovesse.

Gezim Qadraku.