La fine è il mio inizio

Quando ho acquistato questo libro, era avvolto da una di quelle copertine lucide con sopra la foto di Tiziano Terzani. Dopo le prime pagine ha iniziato a darmi fastidio e ho deciso di toglierla. Facendo così, ho scoperto il colore del libro, questo marrone che mi ha permesso, durante l’intera lettura, di trovarmi in un’epoca che non ho vissuto. Più che per il colore, in realtà, la sensazione di trovarsi in un altro spazio temporale è stata tutta merito dei racconti del protagonista, il meraviglioso Tiziano Terzani.

Il giornalista fiorentino, cosciente di essere arrivato ormai agli ultimi giorni di vita, chiama suo figlio Folco, chiedendogli di raggiungerlo all’Orsigna, nella loro casi in Toscana. L’idea è quella di dare vita ad una conversazione, nella quale Tiziano racconti a Folco tutta la sua esistenza.
L’obiettivo riesce nel migliore dei modi. “La fine è il mio inizio” è la migliore autobiografia che Terzani potesse lasciarsi alle spalle.

Si inizia dalle esperienze di quel ragazzino che viveva in una famiglia povera, la quale si trovò non poco in difficoltà, quando il professore del ragazzo consigliò loro di mandarlo al Ginnasio, date le sue ottime capacità. Fu il primo bivio cruciale della sua vita, perché dopo il Ginnasio sarebbe arrivata l’Università e la laurea in legge. Successivamente il viaggio in America e il primo lavoro, all’Olivetti. Stare in un ufficio non è una mansione che riempie di gioia il protagonista, che decide di lasciarsi la sicurezza economica alle spalle e cerca un lavoro vero, che gli dia la gioia di vivere.
È un giornale tedesco, Der Spiegel, a dargli la possibilità di di diventare giornalista e fare allo stesso tempo ciò che più gli piace, ovvero viaggiare. Diventa il corrispondente in Asia. Si occuperà dei principali momenti storici del continente asiatico. Scriverà del Vietnam, della Cina, della Cambogia, poi il Giappone e l’India.

Si considera un uomo molto fortunato, perché ha avuto la possibilità di fare come lavoro ciò che probabilmente avrebbe fatto anche gratis. Un uomo aperto alle diversità, voglioso di godersi la propria vita fino all’ultimo secondo, un anarchico, una penna deliziosa. Una capacità, la sua, camaleontica nell’adattarsi a qualsiasi contesto. Cercava sempre di imparare la cultura e la lingua del paese dove viveva.

Un libro consigliatissimo a qualsiasi pubblico, in particolare a chi sogna di fare del giornalismo la propria vita. Un inno alla vita, al viaggio, alla pace, all’amore e alla famiglia. Un uomo che ha girato il mondo, portandosi sempre dietro la moglie e i suoi due figli. Con i quali ha deciso di chiudere quel fantastico cerchio che è stata la sua esistenza.
Concludo con uno dei pezzi che ho sottolineato:

“L’effetto camaleontico, scoprirai, è sempre di grande aiuto. Perché la prima reazione della gente è di resistenza. <<Chi è questo? Che vuole? Parla diverso, si comporta diverso…>> Ma se tu impari a salutarli- non t’immagini quanto l’apprezza un musulmano se lo saluti dicendo <<Salam aleikum>> – ti mettono subito in un’altra categoria , si stabilisce subito un rapporto più vero. Quello che devi guadagnarti è anche la fiducia della gente e non lo puoi fare arrivando paracadutato e portando una televisione nuova. Non è così che funziona”

 

Gezim Qadraku.

Mano nella mano

Sono arrabbiatissimo con lei, abbiamo rischiato di perdere il treno per la solita discussione banale e inutile. Si è ostinata a voler prendere il tram, nonostante io le avessi spiegato che ci avrebbe impiegato troppo tempo e  avremmo perso il treno. Alla fine tutto è andato come previsto, siamo arrivati alla stazione di Zurigo giusto un minuto prima della partenza. Fortunatamente il convoglio è partito con cinque minuti di ritardo e il peggio è passato.

Siamo seduti uno di fianco all’altra, davanti a lei c’è una signora francese che legge un giornale e a tutto potrà pensare, tranne che siamo una coppia. Non appena ci siamo seduti abbiamo deciso di rifugiarci nei nostri romanzi, perché leggere è un modo elegante per starsene da soli.
Io Camus e lei la Fallaci.
Siamo diretti a Parigi, le ho detto una menzogna per convincerla a venire. Le ho raccontato di un mio vecchio amico giornalista che mi vorrebbe come articolista per la sua rivista, ma in realtà non ci sarà nessuna cena con questo Jean.
Jean non esiste. Ad aspettarci ci sarà Franck, il nostro amico fotografo al quale ho chiesto di fotografarmi mentre chiederò a Valentina di sposarmi.
Domani mattina le metterò una benda sugli occhi per non farle vedere nulla, saliremo su un taxi prenotato da Franck che ci porterà davanti alla Torre Eiffel. Una volta arrivati mi inginocchierò davanti a lei, le dirò di togliersi la benda e le farò la fatidica domanda. Dopo tutte le brutte parole che le ho detto mentre eravamo in tram, probabilmente mi tirerà uno schiaffo e mi dirà di no. Ho avuto ragione io e non lo ammetterà mai. Le scuse posso sognarmele, è troppo orgogliosa per un gesto del genere.

È passata solo un’ora dalla partenza e tra l’ansia della sorpresa e l’inaspettata litigata, inizio ad avere un po’ di paura. Per qualche secondo penso che il nostro rapporto possa andare in frantumi per l’ennesima discussione, ma in realtà questo nostro comportamento di isolarci e non parlare è ordinaria amministrazione.

L’ansia continua ad aumentare e Camus non è mi più di aiuto. Ho bisogno di lei ora, non possiamo arrivare in questa maniera al giorno più importante della mia vita.
Chiudo il libro, giro la testa e la osservo mentre legge con addosso gli occhiali che la rendono fottutamente sexy. Ha appoggiato il romanzo al tavolino, sta sottolineando una frase ed ha entrambe le mani occupate. Aspetto che finisca. Ci impiega un po’, dev’essere un concetto abbastanza lungo. Utilizza sempre il segnalibro come righello, vuole che le righe  siano perferttamente diritte. È una perfezionista.
Quando, raramente, parliamo di futuro e di casa, dice sempre che le camere del nostro rifugio dovranno essere piene zeppe di libri e sulle mura scriveremo le nostre frasi preferite.
Finalmente toglie la mano sinistra dal tavolo, gliela stringo e contemporaneamente le stacco gli occhi di dosso per guardare fuori dalla finestra. Provo a stringere la presa, ma lei schiaccia più forte di me. Ho i brividi ovunque, il mio sguardo è fisso sul panorama all’esterno, ma la mia attenzione è tutta su di lei. Avevo paura che evitasse la presa o accettasse la stretta senza fare nulla. Invece continua a stringere per dirmi che mi odia, ma che non c’è problema, posso tenerle la mano e con calma possiamo iniziare a fare pace.
Proprio così, senza guardarci, facendo i finti arrabbiati , ma sotto sotto, toccandoci quasi di nascosto dal mondo, tutto è come prima.

Mi sono innamorato di lei proprio in questa maniera, incastrando le mia dita tra le sue. Mi piacque da morire. Me ne andai a casa senza neanche aver provato a baciarla, mi erano bastate le sue mani sottili e morbide. La sensazione di quel momento potrei compararla a quella  che si prova quando si legge un bel libro per la prima volta e ci si innamora della letteratura, l’istante in cui si acquisisce la consapevolezza che qualsiasi cosa brutta possa accaderti durante la vita, potrai sempre rifugiarti nei libri. Avevo appena trovato il posto dove potermi rifugiare e dissi  a me stesso che avrei voluto passare tutti i giorni della mia esistenza ad accarezzare le mani di quella ragazza.

Mentre osservo il bellissimo panorama svizzero e ripenso ai primi giorni della nostra storia, mi torna alla mente quel pezzo del giovane Holden:
Ci tenevamo sempre per mano. Detto così non sembra granché, me ne rendo conto, ma tenersi per mano con lei era pazzesco. La maggior parte delle ragazze, quando gli tieni la mano, sembra come morta, oppure pensano di doverla muovere in continuazione, come se avessero paura di annoiarti o non so cosa. Jane era diversa.  Andavamo al cinema, magari, e subito ci prendevamo la mano, e non la mollavamo più finché il film non era finito. E senza mai cambiare posizione, né fare tante scene. Con Jane non ti preoccupavi nemmeno di avere la  mano sudata. Pensavi solo che eri felice. E lo eri“.

Domani, forse, effettuerò il passo più importante della mia vita. Continuo a pensarci e sono convinto che sia la decisione giusta. Ora stringerle la mano non mi basta più, gliela prendo e la porto verso la mia bocca, le do un bacio e poi la appoggio sulla mia pancia, coprendola con la mano sinistra. Sento che smette di leggere, si toglie gli occhiali e appoggia la testa al mio braccio.
Abbiamo già fatto pace, tutto risolto. Noi siamo così, non abbiamo bisogno di parlare.
Ci amiamo tenendoci per mano.

Gezim Qadraku.