Una finale di tennis

Tocca spendere due parole in più sulla finale di ieri.
È come se l’avessi vista un’altra volta durante la notte. Ho preso sonno un po’ tardi.
Non capisco nulla di tennis e questa forse è la nona o la decima partita che guardo dall’inizio alla fine.
Ma non è comunque di tennis che voglio parlare, non saprei cosa dire.
Ogni volta che guardo un evento sportivo mi concentro sempre di più sulle gesta umane più che sulle giocate tecniche.
Mi spiego, se sto guardando una partita di calcio mi concentro su come i giocatori reagiscono caratterialmente a un evento imprevisto, a un errore o a una condizione che teoricamente non dà loro nessuna possibilità di farcela.
Sempre nel calcio cerco di capire i rapporti personali tra i compagni, se due sono veramente amici o se invece devono sopportarsi solo perché vestono la stessa maglia.
Due aneddoti in questo contesto. Mi fece impazzire quando Pellegatti durante una partita del Milan fece notare che Rui Costa era andato in panchina per chiedere di avere un’altra cicca. Secondo il commentatore lo faceva ogni volta che pensava di giocare male. L’altro invece riguarda i primi mesi di Neymar al Barcellona, ricordo di aver visto un ragazzo che dava l’idea di sentirsi in difficoltà in quel contesto. Eppure era Neymar, ma a guardare la sua espressione sembrava si sentisse un imbranato. Poi si bloccò definitivamente dopo un gol nel Clasico, se non ricordo male.

Dell’esperienza di ieri mi porterò il ricordo dell’opposto coinvolgimento interiore alle difficoltà dei due protagonisti.
Di Federer mi ha sorpreso il totale vuoto emotivo che si percepiva alla fine di ogni punto. Che l’avesse vinto o meno, la reazione era sempre la medesima.
Impassibile, glaciale, stesso passo morbido ed elegante per tornare in posizione. Mai niente di più. Nulla traspariva dai suoi occhi.

Di Djokovic invece l’incapacità di arrendersi. In lui è oggettivamente più facile capire cosa gli stia passando per la testa. È capitato che l’espressione facciale o uno sguardo verso la sua squadra sia stato sufficiente per comprendere cosa stesse provando. Nonostante questo, nonostante certe giocate da togliere il respiro dello svizzero e la reazione incontrollata ogni volta del pubblico, lui puntualmente era pronto a rispondere, come se niente fosse successo.

Perché guardo queste cose, quando potrei o forse dovrei concentrarmi sulle giocate singole degli atleti? Perchè in qualsiasi evento sportivo ci vedo un riassunto della vita. Che poi è essa stessa una partita. Il tempo è limitato, nasci con determinate qualità e sai che puoi migliorarle, ti prepari giornalmente per giocare, ma poi quando scendi in campo arriva di tutto tranne quello che ti aspettavi.
E allora che fai?
Come reagisci agli ostacoli?
Quanto riesci a durare?

Ho sentito dai telecronisti dire che Federer ha modificato il suo modo di giocare e questo gli sta permettendo di eliminare certe debolezze che aveva specialmente contro Nadal e Djokovic. Non entro nel merito, non so di cosa stessero parlando, ma la sensazione che ho avuto osservandolo ieri è che sia totalmente cosciente dei propri mezzi. In passato ricordo di aver pensato di lui, forse erroneamente, nel caso perdonatemi, che non fosse caratterialmente uno che riusciva ad affrontare determinate situazioni.
Ieri ci sono stati momenti in cui ho avuto la sensazione che volesse prendersi un punto e puntualmente lo vinceva. Ha avuto un paio di accelerazioni e non c’è stato nulla da fare per il serbo. Da casa ho provato una sorta di timore, pensando a quanto fosse forte la combinazione tra la volontà e le capacità fisico-tecniche dello svizzero. A 37 anni ha messo in mostra una prestazione di 5 ore inspiegabile. A me non sembrava neanche poi tanto stanco alla fine.
Mentre Djokovic, dopo un’impresa indescrivibile, all’ultimo errore dell’avversario non ha neanche esultato come avrebbe tranquillamente potuto.
Io a casa ero esausto, sia fisicamente che mentalmente. E probabilmente non mi sono ancora ripreso del tutto.
C’è da goderseli questi eventi e anche da imparare.
Uno che a 37 anni ancora cerca di migliorarsi e l’altro che ti insegna a rialzarti ogni volta, indipendentemente da cosa ti sia accaduto.
Doveva essere una finale di tennis,
è stata molto di più.

Gezim Qadraku.

(Immagine AFP / Ben Stansall)

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