Vendetta mancata

Sembrava già tutto scritto, Atlético Madrid campione e giustizia fatta.
Sembrava, perché era già successo al Milan. Perdere in maniera assurda una finale e prendersi la rivincita due anni dopo.
Sembrava, perché anche questa volta gli ingredienti erano quasi gli stessi.
A due anni di distanza, il destino ha dato la possibilità agli uomini di Simeone di riprendersi ciò che gli era stato tolto a Lisbona a soli due minuti dal fischio finale, ancora una volta contro di loro, gli odiati rivali del Real Madrid.
Forse per la prima volta i colchoneros erano favoriti contro i blancos, per tanti motivi.
A partire dal cammino per arrivare alla finale di Milano; i biancorossi sono stati in grado di superare due colossi come Barcellona e Bayern Monaco. Il Real invece ha avuto vita decisamente più facile, nonostante abbia deciso di  complicarsela contro il Wolsfburg per poi superare di misura il Manchester City, in una doppia semifinale tra le più noiose mai viste.
Oltre a questo c’era la sensazione che dovesse vincere l’Atlético perché sarebbe stato giusto così, perché due anni fa si erano fatti raggiungere nel peggiore dei modi, quando ormai erano ad un passo da alzare la coppa.
Poi perché non l’hanno ancora vinta, e prima dell’arrivo di Simeone, avevano raggiunto la finale solo una volta , con l’argentino in panchina sono arrivate due finali in tre stagioni.
Dovevano vincere loro anche perché gli odiati rivali ne hanno già vinte abbastanza, a Lisbona era arrivata la decima, si poteva pensare che fossero già felici e soddisfatti così.
Invece no, non è tutto questo che ti permette di vincere una Champions.
Puoi partire favorito, puoi avere un conto in sospeso con la sorte, ma una finale devi giocarla e vincerla.
Non è stato l’Atlético che siamo abituati a vedere, nel primo tempo sembravano degli agnellini impauriti. La tensione e la paura erano ben visibili nei loro volti, ma soprattutto nelle loro giocate. Un Real ordinato e convinto dei propri mezzi, giocando una buona partita ha portato a casa il massimo risultato.
Sarà che loro sono abituati, per i blancos giocare una finale di Champions è quasi la normalità, per i biancorossi no.
Una vita passata ad avere a che fare contro un vicino di casa che li ha sempre sovrastati in tutto: ricchezza, trofei, campioni. Per questo quando ti trovi lì, al secondo appuntamento con la storia, ancora una volta contro chi odi di più e il favorito sei tu, capita che ti tremino le gambe. Capita che la cattiveria e la grinta che ti contraddistinguono le lasci a casa. Capita che se ti chiami Torres e hai sempre tifato Atlético, senti così tanto la partita da non azzeccare un pallone.
Capita che calci un rigore pessimo nei novanta minuti, per poi tirarne uno perfetto dopo i supplementari e rammaricarti di non averlo calciato così anche prima.
Capita che in porta hai fatto i miracoli per tutta la stagione e anche nei 120 minuti della finale, ma dei rigori non riesci a sfiorarne manco uno.
Capita che sbagli il rigore decisivo perché hai troppa fretta di calciarlo e poi scrivi una lettera ai tuoi tifosi, scusandoti e promettendo a loro che quella coppa il vostro capitano la alzerà prima o poi.
Una squadra abituata a soffrire, abituata a stare nelle posizioni meno note, abituata a vincere le partite con il sangue e con la fame.
Una squadra e un popolo che riusciranno a superare questa ennesima delusione.
Tra due anni la finale si giocherà a Madrid, in quello che sarà il nuovo stadio dell’Atlético.  Vincerla a casa propria, davanti al proprio popolo, potrebbe essere il modo migliore per cancellare queste due atroci sconfitte.
Sarà la volta buona?

Gezim Qadraku.

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