Questa storia è ambientata in Sud America, in Argentina per l’esattezza e narra di un calciatore che nella sua carriera ha vestito la maglia numero dieci e ha fatto con la palla, ciò che nessuno aveva mai fatto prima.
Questa è la storia del poeta del fùtbol, Juan Romàn Riquelme.
Nasce a pane e pallone, come tantissimi bambini argentini. Ci mette poco a passare dalle partitelle di strada ai campi di calcio. Il trampolino di lancio per il ragazzo è la squadra degli Argentinos Juniors.
In Argentina tutti si sono accorti di quel ragazzo timido, taciturno, dai piedi vellutati. Viene soprannominato “el Mudo” e verrà chiamato così per tutta la sua carriera. Cresce sotto la pressione del padre, che dopo ogni partita gli fa notare tutti gli errori che ha commesso. Probabilmente questo incide sulla crescita del ragazzo e i risultati non tardano. Arrivano subito offerte importanti dalla capitale, entrambe le squadre di Buenos Aires offrono cifre alte per il ragazzo.
River o Boca?
No, non c’è neanche da porsela la domanda. Ha già scelto il padre, che solo all’idea di vedere il figlio giocare per il River sbotta e dice al ragazzo:
“se indosserai quella maglia non verrò più allo stadio a vederti giocare”.
Non poteva andare diversamente. Debutta in prima squadra nel momento peggiore possibile, quelli sono gli ultimi anni di Diego Armando Maradona al Boca, tornato in patria per finire la propria carriera. Romàn esordisce in prima squadra, segna anche dopo poche partite, ma passa gran parte del tempo in panchina.
Maradona lascia nel 1998 e da quel momento inizia la carriera di Riquelme. Si prende quel numero, il dieci, già pensante di suo, figuriamoci dopo che è stato indossato da quello che sarà per sempre, l’unico e inimitabile Diez. Dopo aver vinto sia il torneo di Apertura che di Clausura nel suo primo anno da protagonista, nella stagione successiva il ragazzo decide che è arrivata l’ora che il calcio mondiale si accorga della sua esistenza.
Opta per farsi notare quando gli occhi di tutto il mondo lo guardano.
Tokyo, 28 novembre 2000 finale della coppa intercontinentale. Il Boca Juniors si trova di fronte le maglie bianche dei Galacticos di Madrid. L’attenzione è tutta sul Real, che si presenta con gente come Casillas, Roberto Carlos, Hierro, Guti, Figo e Raul. Il risultato sembrerebbe già scritto, ma quella partita ha un unico protagonista.
El Mudo. Non segna, ma è ancora più decisivo di Palermo, autore di una doppietta nei primi cinque minuti della finale. Il secondo gol parte da un’invenzione del numero dieci, che pennella un lancio di quaranta metri, sfruttato alla perfezione da Palermo. Per il resto della gara delizia gli occhi di chi lo sta guardando con giocate sontuose, cambi di gioco, dribbling stretti, fa letteralmente impazzire il centrocampo madridista. Makélélé e McManaman non ci capiscono praticamente nulla per tutti i novanta minuti. Missione riuscita, dopo quella partita tutto il mondo si è accorto dell’esistenza di Riquelme.
Resta ancora una stagione in Argentina, nella quale vince di nuovo la copa Libertadores e poi arriva l’inevitabile salto dell’oceano per venire a giocare in Europa, destinazione Barcellona. La stagione blaugrana non è quella che Romàn si era sognato, le cose non vanno per il verso giusto, il ragazzo non si trova a suo agio e Van Gaal di certo non gliele manda a dire.
“Con la palla al piede sei il miglior giocatore al mondo, senza ci fai giocare in dieci”.
El Mudo cerca fortuna altrove, non va troppo lontano, nella stagione successiva veste la maglia gialla del Villareal. Il Diez torna a fare cose degne di quel numero, si trova a suo agio, gioca bene e porta il sottomarino giallo dove mai era stato. Prima arriva il terzo posto in campionato, che permette l’accesso alla Champions League e l’anno seguente proprio in Europa sfiora il miracolo.
Purtroppo qualcosa va storto, nel momento in cui tutto il popolo amarillo pone la fiducia sul piede destro di Romàn, lui tradisce. Si fa parare il rigore nella semifinale contro l’Arsenal all’88 minuto. Il sogno svanisce sul più bello.
Qualche giorno dopo al Bernabeu un certo Zidane saluta i suoi tifosi e al fischio finale scambia la maglia proprio con Romàn.
“È un onore ritirarmi con la sua maglietta tra le mani”.
Il rapporto con Pellegrini si rompe e il Diez non può far altro che tornare a casa. Lì dove è sempre rimasto il suo cuore, su quella maglia azul y oro.
“La Bombonera sarà per sempre il giardino di casa mia”.
Non si limita a concludere la carriera, permette agli Xeneizes di tornare a vincere. Due titoli Apertura e una copa Libertadores. Forse questo è stato il miglior periodo della sua carriera. Davanti alla sua gente, con addosso la sua maglia. Si è sentito amato, e quando uno come lui sente l’amore della propria gente, risponde dando altrettanto amore.
Lo fa con capolavori come questo.
Se per il Boca il sentimento è stato immenso, quello per gli Argentinos Juniors forse lo è stato ancora di più. Torna nella squadra che lo ha lanciato con un obiettivo, riportarla in Primera Division.
Ci riesce e con questo ultimo miracolo saluta tutti.
Uno di altri tempi anche fuori dal campo, significative le sue dichiarazioni sul famoso tunnel di suola che fece ai danni di Yepes vicino alla linea del fallo laterale:
“In una partita del genere, un classico, eravamo sopra 3-0 e me ne sono uscito con quella cosa. Un altro al posto suo mi avrebbe fatto male, lui invece mi ha seguito lungo la fascia e mi ha chiuso in fallo laterale. È stato molto più uomo Yepes a reagire così, che io a fargli un tunnel in quella situazione”.
Le affermazioni di due mostri sacri come Ronaldo (il primo) e Iniesta, dimostrano come i suoi colleghi abbiano capito realmente il valore di Romàn.
“Si no te gusta Romàn, no te gusta el Fùtbol” ha detto il brasiliano.
Mentre lo spagnolo ha dichiarato che “Lionel Messi è il giocatore più forte del mondo, ma Riquelme è fuori concorso”.
E’ stato definito l’ultimo Diez,un tipo di giocatore che forse non vedremo più sui campi di calcio. Lui come Rui Costa o Zidane. Sarebbe fin troppo riduttivo definirlo trequartista, non si può descrivere Romàn tramite un ruolo in campo, lui dirigeva da qualsiasi posizione. L’importante era fargli arrivare palla poi ci pensava lui. Con il suo modo di fare introverso, la sua andatura lenta, il suo gioco fatto di tante pause e sprazzi di genio incomprensibili per noi comuni mortali. Il suo sguardo quasi perso nel vuoto, come se non si capacitasse del perché tutti intorno a lui corressero a perdi fiato. Lento sì, non discuto di ciò. Non aveva fretta di prendersi tutto il tempo che gli serviva per fare la giocata, la quale doveva essere quella più utile per la squadra, ma anche la più bella da far vedere al pubblico. Andava piano, per dare tempo a chi lo guardava di godersi lo spettacolo.
Creava arte utilizzando un pallone Romàn.
Cosa faceva uscire da quei piedi?
Erano lettere d’amore verso gli spettatori le sue giocate.
A riguardare le immagini sembra che abbia giocato in un’epoca tutta sua, come se le partite in cui c’era lui fossero state disputate in un diverso arco temporale. Avrei preferito vederlo in bianco e nero, perché quelle immagini senza colori, così distanti dai giorni nostri danno un accento leggendario ai protagonisti delle storie. Esattamente quello che è stato Romàn, una leggenda che ci ha mostrato come si accarezza quell’oggetto sferico che tanto amiamo. Era dotato di talmente tanta tecnica e rispettava così tanto il pallone, che gli si poteva perdonare tutto. Se c’era una cosa che tutti attendevano durante la partita, erano le punizioni di Riquelme, ci ha fatto vedere come si tirano i calci da fermo.
I suoi tiri erano poesie. Non erano punizioni forti, né con effetti strani, erano dichiarazioni d’amore verso il pubblico che si appoggiavano delicatamente alla rete, dove il portiere non poteva mai arrivare.
Anche in questa situazione decideva lui quando si poteva dare inizio allo spettacolo.
“L’arbitro fischia ma Riquelme non parte. È Román che decide quando si deve battere la punizione”. (Stefano Borghi)
Indescrivibile la doppietta contro il Cile, entrambi i gol arrivarono su punizione.
Se fossi argentino dedicherei alla mia ragazza le punizioni di Romàn.
Concludo con le parole di un poeta, un sudamericano come Riquelme. Penso che questo sia il modo più adatto per descrivere come si sente il mondo del calcio senza l’ultimo Diez.
“Una volta lui le aveva detto una cosa che lei non riusciva a concepire: gli amputati sentono dolori, crampi, solletico, alla gamba che non hanno più. Così si sentiva lei senza di lui, sentendolo là dove non c’era più”.
(Gabriel Garcia Marquez).
Gezim Qadraku.